di Carlo SANTULLI*, Cristiano FRAGASSA**, Ana PESIC***
L’introduzione delle fibre naturali lignocellulosiche (canapa, lino, juta, sisal, ananas, ecc.) nei compositi ha il vantaggio del loro alleggerimento ed anche della loro maggiore sostenibilità, nel caso in particolare dell’utilizzo di materiali sottoprodotti dell’industria tessile od alimentare, se non di prodotti di scarto di biomassa. Tuttavia, tali fibre sono materiali moderatamente idrofili, che quindi assorbono una certa quantità di acqua, specialmente in condizioni di particolare umidità durante il servizio, e quindi permettono una certa attività biologica all’interno del composito.
Nel caso di specifiche applicazioni in settori come la nautica, i compositi in fibra naturale sono soggetti allo sviluppo della contaminazione superficiale detta biofouling, che in pratica si può realizzare con la formazione di una pellicola biologica, preludio ad una progressiva colonizzazione di piante acquatiche poi di crostacei come i cirripedi.
Malgrado le evidenti problematiche legate alle condizioni di servizio, i compositi contenenti biomassa si stanno diffondendo in elementi costruttivi dello scafo e del ponte delle barche, e poi in costruzioni più piccole come canoe, tavole da surf, oltre ad avere applicazioni tradizionali come quelle nell’ambito delle funi d’ormeggio. La resistenza del composito in acqua può venire testata attraverso immersione in soluzioni saline o direttamente in mare, anche per periodi di mesi, misurando l’assorbimento d’acqua, la degradazione delle proprietà meccaniche dopo il trattamento, e la possibile contaminazione.
Per limitare al minimo il problema, si ricorre a diversi metodi: oltre ai trattamenti battericidi applicati sulle pitture, in pezzi verniciati o i film di inibizione dell’attività enzimatica, ci sono per esempio i trattamenti sulle fibre naturali, per asportazione di materiale come quello alcalino, per ricoprimento protettivo, come quello basato sui silani, od una combinazione dei due. Un’altra possibilità è all’introduzione di filler o nanofiller, normalmente ceramici, ed a volte anche di origine marina, come polver di gusci di molluschi, nel composito. Inoltre, è possibile la modificazione della matrice polimerica, come nel caso delle poliolefine (polietilene e polipropilene) che vengono graffate con l’anidride maleica, in modo da renderle più compatibili con le fibre vegetali e quindi da ridurre l’attaccabilità del composito.
Il futuro, dato il progressivo sviluppo della stampa 3D anche in questi settori, comporterà anche l’introduzione di matrici polari, come l’acido polilattico (PLA), da solo o in combinazione con altre matrici bio-, come altri poliidrossialcanoati (PHA), che appaiono tuttavia dalle prove effettuate finora piuttosto tolleranti all’ambiente salmastro o marino.
Riferimenti
Questo studio sull'impiego di fibre naturali nella produzione di compositi per applicazioni in ambito marino è stato realizzato nell'ambito di 'SeaComp - Compositi Marini Ecologici dagli Scarti dell'Adriatico', un progetto di collaborazione tra l'Università di Camerino e l'Università del Montenegro, cofinanziato dai Ministeri degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale dei rispettivi Paesi. Maggiori dettagli sono disponibili nella review recentemente pubblicata sul Journal of Composite Science (DOI: 10.3390/jcs8120532).
Nella foto: la biodegradazione delle materie plastiche (ph. Elena Mastalygina/Wikimedia)
* Scuola di Scienze e Tecnologie, Università di Camerino
** Dipartimento di Ingegneria Industriale, Università di Bologna
*** Istituto di Biologia Marina, Università del Montenegro
-
-
11 gennaio 2025